Mauro Santomauro scrittore arguto e ironico. Musicista, ricercatore e studioso di storia e letteratura. Con la Ferrari Editore ha pubblicato i romanzi THERIACA, IL MERAVIGLIOSO INCUBO DI NATALE e L’ULTIMA EPIDEMIA.
8 DOMANDE /// L’INTERVISTA
Il tuo primo ricordo legato a un libro? A dodicenne, quando trovai una malandata edizione del romanzo Dalla Terra alla Luna di Verne, appartenuta all’infanzia di mio padre. Me ne appassionai a tal punto da leggerlo persino di notte, nascosto sotto le coperte, per non farmi scoprire da mia madre, ostinata a farmi dormire. Da lì sotto, a rischio di dar fuoco al letto, rischiaravo le pagine e le avventure con la lampada del comodino. Come nel mito della caverna, di cui ancora per anni non avrei sentito parlare, le ombre dei personaggi si proiettavano nel mio morbido antro personale e segreto, danzando e rincorrendosi per il mio fanciullesco piacere. Fu così che scoprii che, là fuori, da qualche parte, esisteva un mondo diverso e fantasmagorico.
Da dove trai ispirazione per le tue storie? Nei ricordi di una, due, tre vite, non le conto più, ormai perdute. Non soffro di metempsicosi! Anche nei momenti fugaci nel dormiveglia, quando il sonno non è ancora profondo e non domina del tutto la tua mente. O nelle frasi rubate alla gente che ti circonda. In un libro che ti appassiona e che avresti voluto scrivere tu. Nelle note di una musica che non ti lascia andare. A volte mi sembra di essere una grossa spugna che tutto assorbe e tutto trattiene, fino a quando qualcosa o qualcuno non ti strizza…
Che cosa rappresenta per te la scrittura letteraria? Passione, bi-sogno di fuga, esigenza pedagogica, indagine interiore, lavoro parallelo? Principalmente fuga dalla noia routinaria. Bisogno di fissare sulla carta (tastiera) pensieri che altrimenti evaporano e si perdono. Frasi che, armoniche nella testa, vorrei tradurre nel linguaggio comprensibile a tutti. A volte ci riesco. Molte altre no. È il duro il mestiere del traduttore! E poi c’è il bisogno, quasi psicotico, di voler lasciare traccia di sé, perché la memoria permanga, quando i figli sono ormai fuggiti e temi che non nessuno si ricorderà veramente di te e di quel che sei stato.
Che rapporto c’è tra l’universo della scrittura e la società, con i suoi aspetti politici e culturali? Questi elementi sono presenti nei tuoi libri? Confesso di essere, solo per semplice autodifesa, un inveterato misantropo. Tuttavia, a poco servono gli strenui tentativi di tener fuori dalla mia giornata gli avvenimenti beceri della politica, l’orrida cronaca, il pettegolezzo strisciante e le bugie dilaganti: il mondo sembra avere la sgradevole caratteristica di abbattere ogni barriera e tracimare nella tua vita. A nulla servono gli scioperi bianchi messi in atto nei confronti dei giornali, i blackout da pentito che, ingenuamente, mi impongo sui social. Come un tossicodipendente, ricasco nel vizio e dalla droga mi lascio catturare nuovamente. Vorrei reagire, argomentando, ribattendo di fioretto, a volte sarebbe meglio la daga, alle opinioni che non condivido. Trovo, tuttavia, che tutto questo sia inutile. Anzi, pericoloso. Se non ti affili alle fazioni in cui, ormai da secoli, si divide il nostro Bel Paese, rischi di essere emarginato, deriso, insultato. Nelle bolle di risonanza, in cui politica e cultura sono frammentate, non è ammesso un’eco dissonante. I cosiddetti mainstream sono i nuovi idoli e noi gli adoratori più fedeli. Come un carbonaro, spero ancora di trovare uomini liberi che la pensino diversamente…
Fuori dai vincoli della realtà, fin dove possono spingersi l’immaginazione e la finzione letteraria? La realtà non ha confini. La fantasia è limitata a noi stessi e al nostro vissuto. Non vorrei scomodare il Bardo e Orazio, ma credo davvero che l’Universo sia dannatamente più complicato di come lo immaginiamo e lo vediamo. Solo che abbiamo bisogno di occhiali più potenti.
C’è qualcosa di te nelle tue trame e nei tuoi personaggi? L’insano egocentrismo che mi caratterizza mi farebbe rispondere che io sono tutti i miei personaggi. ”Sì, messi assieme!” come mi fa notare la mia pungente consorte, adducendo il fatto che sono ingrassato. Ma la smorfia di mia moglie mi convince, tuttavia, a volare più basso. La verità, come al solito, sta nel mezzo: io raccolgo storie e caratterizzo personaggi che stanno in bilico tra realtà e finzione. La normalità è il pregio che detesto di più. Nella vita reale la menzogna è distruzione. In quella immaginaria è creazione.
Qualche domanda sulla tua officina creativa: hai uno spazio tutto tuo dove preferisci scrivere? Orari, abitudini, rituali? Carta o computer? Ho la fortuna di possedere una biblioteca traboccante di libri raccolti in eoni dalla mia famiglia. Tutti i generi sono rappresentati: storia, letteratura, avventura, scienza, filosofia, viaggi e amori sfortunati. Anche per sfuggire agli adempimenti casalinghi, cui vengo crudelmente sottoposto dalle donne che popolano la mia casa, qui ho eletto l’inaccessibile sede della mia attività cerebro-amanuense. Che svolgo percuotendo la tastiera di un vecchio portatile. Che Dio abbia in gloria World! Un altro inconfessabile motivo della mia scelta è nella speranza che un po’ del distillato di quel vasto scibile umano goccioli magicamente su di me, permettendomi così di aggiudicarmi quei tre o quattro premi Nobel per la letteratura e Pulitzer, di cui sento di essere del tutto meritevole. Per quanto riguarda orari e abitudini, non ho remore a dichiararmi un Pigro Professionista, regolarmente iscritto alla FIAP (Federazione Internazionale Autentici Pigri). Quindi non ho regole, né momenti particolari cui attenermi: il computer è, per questo, perennemente acceso. Tuttavia, per le emergenze, ho sempre con me un fidato taccuino tascabile fornito di matita che, nei momenti più inopportuni, ha la cattiva abitudine si smozzicarsi. Ah, questi congegni elettronici troppo sofisticati! Spesso l’illuminazione, l’ispirazione – o la cattiva digestione – mi obbliga a balzare dal letto in piena notte per scendere a scrivere. Mia moglie sospetta di un’amante segreta con cui chatto o di una severa prostatite…
I libri possono aiutarci davvero a vivere meglio? Non credo nel potere salutistico e salvifico dei libri. La Bibbia e Il Manuale della Giovane Vegana dovrebbero averci già convinto in merito. Pur considerando i miei libri sacri e inviolabili, penso che ognuno debba utilizzare ogni arma a sua disposizione per migliorarsi l’esistenza. Purtroppo ciò non accade quasi mai. Vi è mai successo dopo la visione di un film traboccante buoni sentimenti e ideali che cambierà il vostro approccio con il mondo e l’umanità? Il tempo di una pizza e due birre e riavrete il vostro vecchio stile di vita. Circola in rete l’immagine di un cassonetto ricolmo di libri buttati tra i rifiuti. Indignazione generale: i libri sono sono cultura, evoluzione, progresso. Al rogo gli illetterati e gli ignoranti! Ebbene, le statistiche dicono che, in Italia, ogni giorno escono 200 nuovi libri e che solo 4 abitanti su 10 leggono almeno un libro all’anno. Ora mi sovviene un dubbio: il cassonetto pieno è ignoranza o ribellione? E qui tornano i carbonari…