Mauro Cotone è scrittore, saggista e traduttore. Con la Ferrari Editore ha pubblicato LA BICICLETTA DI RASPUTIN, un romanzo intelligente e surreale, dall’ironia beckettiana.
7 DOMANDE /// L’INTERVISTA
Il tuo primo ricordo legato a un libro? Credo che fosse Il paese delle pellicce di Verne, quando avevo pochi anni. Ma non ho letto molta letteratura per ragazzi. Ho attraversato tutto Salgari, per arrivare subito a Urania che trangugiavo con mio fratello (ho tutti i numeri dall’1 al 500: un tesoro che conservo gelosamente). Poi sono passato direttamente a Kafka.
Da dove trai ispirazione per le tue storie? Sono convinto che non è possibile cercare ispirazione, sperando di stanarla pensando e ripensando. A un certo momento un qualunque spunto (una frase, un’immagine, il brano di un libro) mi dà una suggestione che incomincio a rimuginare, poi la cosa inizia a prendere una struttura. Per questo non provo l’angoscia della pagina bianca; non sono preoccupato se per un po’ non sento ispirazione: prima o poi qualcosa arriva.
Come inizia un libro? Come ho appena detto, l’ispirazione arriva da sola. Spesso inizio un libro partendo da una frase (probabilmente un titolo che mi piacerebbe incontrare su uno scaffale di libreria) e inizio a collegarci idee. Apro una pagina di Word e scrivo spunti che poi elaboro, sviluppo o cancello in più fasi. Quasi sempre, però, non so dove andrò a parare: la storia si crea da sola, a volte in maniera inaspettata
Fuori dai vincoli della realtà, fin dove può spingersi la fiction letteraria? Esistono opere che sono molto legate alla realtà oggettiva e altre che ne prescindono. Io ho sempre apprezzato autori del secondo gruppo, come Kafka, Borges, Beckett, Ionesco o Murakami. Ero un ragazzo quando sono rimasto folgorato da La biblioteca di Babele di Borges. All’inizio scrivevo solo storie svincolate dalla realtà, ultimamente cerco di inserire i personaggi nel mondo reale, senza però con questo creare storie cronachistiche. Credo che non esistano regole nella fiction: chi vuole può incardinare le storie nel mondo reale, chi ha una diversa sensibilità crea universi immaginari. Apprezzo entrambi gli approcci.
Che cosa rappresenta per te la scrittura letteraria? Controllo della coscienza che analizza, indaga, filtra, cambia e riordina, così come l’ha inteso Svevo, o flusso di coscienza (stream of consciousness) come lo ha inteso Joyce? Come si può intuire dai nomi che ho citato, ho sempre cercato di seguire un modello stream of consciuosness, con le parole che sgorgano da sole. Da ragazzo scrivevo a mano e avevo i crampi per la frenesia di scrivere. Adesso scrivo al computer che permette un rapidissimo collegamento testa-mani-schermo: una cosa impagabile. Questo naturalmente non significa che gli scritti poi non vadano rivisti, corretti, emendati, riarrangiati. In questo sono completamente d’accordo con Poe e il suo La filosofia della composizione.
Un libro che ti piace molto e che avresti voluto scrivere tu? Naturalmente sono innumerevoli. Molti appartengono agli scrittori che ho citato (Il castello soprattutto), ma un testo poco noto che considero un capolavoro è Epepe dello scrittore ungherese Ferenc Karinthy. La storia surreale di un linguista (stessa professione dell’autore) che scendendo da un aereo si trova in un paese sconosciuto in cui si parla una lingua incomprensibile e vive esperienze fuori della realtà. Lo consiglio caldamente.
Tre aggettivi per definire il tuo romanzo La bicicletta di Rasputin: arcano, disturbante, matrioshkoso, nel senso che come una matrioshka contiene una storia dentro l’altra. D’altronde, se l’Accademia della Crusca ha sdoganato “petaloso” e “scendere il cane”, può accettare pure questo.